Roberto Gherardi, nato il 4 dicembre 1899 a Castel Guelfo di Bologna.
Nel 1943 residente a Imola. Calzolaio.
Membro del PCI dal 1921, partecipò attivamente alla lotta antifascista.
Arrestato nel settembre 1926 a seguito della scoperta dell’organizzazione comunista imolese, con sentenza del 13 giugno 1927 fu rinviato al Tribunale speciale. La sentenza istruttoria investì 276 antifascisti, 19 dei quali furono rinviati al Tribunale speciale, mentre gli altri 257 furono prosciolti perché le prove a loro carico erano limitate agli anni antecedenti le leggi eccezionali. Il 23 luglio 1927 fu condannato a 4 anni e 9 mesi di reclusione.
Liberato alla fine del 1929 riprese la sua attività politica e si sottrasse a un nuovo mandato di cattura espatriando. Dalla Francia fu inviato nell’URSS per frequentare un corso politico. Qui fu raggiunto dalla moglie, Vittoria Guadagnini, anch’essa attiva antifascista.
Entrò in Spagna proveniente dall’URSS, nel maggio 1937, per la difesa della Repubblica e contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco. Appartenne al gruppo artiglieria internazionale con il grado di tenente : ebbe anche funzioni di interprete presso il comando. Nello stesso anno fu schedato e nei suoi confronti emesso un mandato di cattura, se fosse rimpatriato. Lasciò la Spagna nel febbraio 1939. Fu internato nei campi di concentramento di Saint-Cyprien, di Gurs e di Vernet-d’Ariége. Nei campi ebbe funzioni di dirigente del partito comunista e di istruttore di corsi di storia politica.
Tradotto in Italia il 31 gennaio 1942 venne condannato a 4 anni di confino e relegato nell’isola di Ventotene (LT).
Liberato nell’agosto 1943, fu arrestato il 16 dicembre 1943 a seguito dell’esplosione di due bombe sul davanzale delle finestre della caserma Della Volpe sede della GNR e trattenuto in carcere per alcuni giorni. Nuovamente incarcerato l’11 gennaio 1944 perché in possesso di documento di identità non vistato secondo le disposizioni emanate dal commissariato di PS. Era a Imola il periodo della feroce rappresaglia sul gruppo di D’Agostino e Bianconcini, quando il carcere, oltre alle torture, significava la caduta in ostaggio col rischio della fucilazione o della deportazione. Ottenne dopo pochi giorni la libertà con la promessa di informare sulla rete resistenziale. Ma subito ne riferì ai responsbaili dell’organizzazione comunista, che in via cautelativa lo sospese e gli consigliò di prendere la via della montagna.
Con lo pseudonimo attribuitogli di Vecchio, perchè il più anziano del gruppo, gli venne riconosciuto per abnegazione ed equlibrio, l’incarico di commissario di compagnia prima, di vice commissario della brigata oltre alla fine della sospensione del partito.
L’11 ottobre era a Ca’ di Gostino quando iniziò l’attacco dei tedeschi. Si pose ad incitare la resistenza sul retro della casa verso la vigna. Quando Bob diede l’ordine di abbandonare la casa per dirigersi verso Piano di Sopra fu colpito mortalmente nei pressi del pagliaio.
Aveva con sé una borsa con i documenti, il bollettino, il ruolino e la cassa della brigata, di cui i tedeschi si impossessarono. Un documento della polizia militare segreta tedesca con relazione sulla battaglia di Purocielo riportò in proposito: «sono di particolare valore i documenti trovati addosso a un bandito ucciso. Si tratta di informazioni sulle tabelle di indicazione tedesche, indicazioni sull’attività del giorno (il bollettino della brigata, n.d.r.), istruzioni del comando generale dell’Italia occupata per quanto riguarda lo scioglimento delle formazioni partigiane e anche una lista di persone che operano come informatori per la Wehrmacht e per i fascisti. Oltre a ciò è stato anche trovato il ruolino della 36ª brigata, da cui si può dedurre che era composto da diciannove compagnie e da una compagnia comando, alla quale è aggregata l’infermeria, e da un gruppo femminile. Da questo ruolino sono stati trovati i nomi di tedeschi appartenenti alla Wehrmacht e resi noti al direttore della polizia militare presso l’Alto Comando Sudovest. Inoltre sono stati trovati i nomi di persone che si trovano nell’attuale zona di operazioni». Non è detto della cassa della brigata contenuta in quella borsa.
Vittoria Guadagnini, moglie di Roberto Gherardi.
Nata a Imola l’1 marzo 1903 e morta a imola l’1 giugno 1997.
Si sposò con Roberto Gherardi e nell’ottobre 1929, mentre il marito era in carcere, aderì al Partito comunista, fondando con altre donne, tra cui alcune operaie della Castelli, la prima cellula comunista femminile imolese. Si occupò della diffusione e della distribuzione della stampa antifascista clandestina, trasformando la sua casa in un deposito e centro di smistamento, nonché luogo di incontro degli oppositori.
Fu tra le organizzatrici con Prima Vespignani e Giovanna Zanarini della protesta contro la fame e la disoccupazione delle donne imolesi dell’8 marzo 1930. Fu poi partecipe di numerose altre manifestazioni contro il fascismo nei primi anni Trenta.
Nel 1934 si trasferì con il figlio in Unione Sovietica per raggiungere il marito fuoriuscito. In Urss si diplomò dattilografa e lavorò alla scuola leninista internazionale e a Radio Italia. Fu delegata al primo congresso internazionale femminile.
Chiese di tornare in Italia allo scoppio della seconda guerra mondiale e per rientrare nella Penisola passò per la Francia dove riallacciò i rapporti con il Partito comunista italiano. Tornò a Imola nel 1942; in seguito fu arrestata dai fascisti che la rilasciarono dopo un mese circa, non prima di averla sottoposta al giudizio della commissione per l’assegnazione al confino che non la condannò, ma la invitò a non occuparsi più di politica.
Dopo l’8 settembre 1943 continuò la sua attività e fu tra le fondatrici e le organizzatrici dei Gruppi di difesa della donna di cui divenne dirigente provinciale a Bologna. Contribuì a organizzare le donne e a creare Gruppi di difesa in numerosi comuni della provincia di Bologna.
Diresse con altri lo sciopero delle mondine di Molinella del 1944 e partecipò ad altre manifestazioni femminili, tra cui la manifestazione di protesta delle donne imolesi del 29 aprile 1944 e lo “sciopero del sale” a Bologna del 3 marzo 1945.
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