Gustavo Serotti, Galluppo

Gustavo Serotti, nome di battaglia “Galluppo”, da Domenico e Ildegonda Cristiani; nato il 17 settembre 1921 a Castel San Pietro Terme; ivi residente nel 1943. Fornaio.
L’11 ottobre 1944 è a Piano di Sopra a proteggere la ritirata.
Quando tentò il ripiegamento i tedeschi erano già troppo vicini e rimase intrappolato nella vigna sopra la casa, colpito a morte insieme al Milanese.

Luciano Senecalesi

Nella lapide di Ca’ Malanca: Luciano Senecalesi – Ponte S. Martino.
Luciano Senigalliesi, «Bologna», da Mario e Teresa Gianatti; nato il 29 agosto 1914 a Pont San Martin (AO). Nel 1943 residente a Bologna. Studente universitario in Veterinaria.
Membro dell’organizzazione comunista bolognese attiva nel 1936 e nel 1937 nei sindacati fascisti e all’università, venne arrestato all’inizio del 1938. Con sentenza del 2 settembre 1938 fu deferito al Tribunale speciale che, il 22 novembre 1938, lo condannò a 8 anni di carcere per costituzione del PCI, appartenenza allo steso e propaganda. Scontò 6 anni della pena inflittagli nel carcere di Civitavechia (Roma) e venne liberato il 6 settembre 1943.
Dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla lotta di Liberazione nella 36a brigata Bianconcini Garibaldi con funzione di ufficiale di collegamento.
L’11 ottobre 1944 fu tra i superstiti del combattimento che passarono da Monte Colombo. Secondo Nazario Galassi sulla sua morte di sono versioni discordi. Carlo Galassi, fratello di Nazario, lo vide correre pazzamente verso la Faentina in braccio ai Tedeschi. Altri avrebbero detto che, nascostosi in una macchia sopra Torniolo, fu scoperto e ucciso sul posto.

Mario Saba, Tenente Colonnello

Mario Saba, nome di battaglia “Tenente colonnello”, figlio di Luigi e Anna Maria Idini.
Nato il 16 ottobre 1877 a Sassari.
Nel 1943 residente a Bologna.
Tenente colonnello in Servizio Permanente Effettivo.
Alla fine di luglio 1944 fu incaricato dal CUMER di assumere il comando della 36ª brigata Bianconcini Garibaldi, in sostituzione di Luigi Tinti. In formazione non fu accolto bene perché come avveniva in quasi tutte le brigate erano maltollerati gli ordini che arrivavano da Bologna, perché limitavano l’autonomia, e secondariamente perché Tinti era stimato e benvoluto da tutti.
Ha scritto Ernesto Venzi: «Aveva 67 anni e fece subito di tutto per rendersi utile, ma ben presto comprese di essere inadatto a dirigere la guerriglia, le cui regole dovevano essere ogni volta inventate e per di più richiedeva un grande sforzo fisico che spesso metteva alla prova anche i più duri montanari. Fu un uomo di grande sensibilità e, capita la situazione, volle essere un semplice partigiano…». Ma c’era qualcos’altro ancora che lo rendeva estraneo all’ambiente. Ha scritto Filippo Filati”: «Simpatizzammo subito perché eravamo entrambi “due pesci fuor d’acqua” in quell’ambiente che, in un primo tempo, giudicammo “di rossi fanatici, senza creanza, senza istruzione e senza alcuna cognizione di quello che si doveva fare”. Ma in seguito cambiammo completamente questa opinione…».
Restò come consulente militare e quindi capo di Stato Maggiore del 5° battaglione.
Partecipò a tutti i principali combattimenti che la brigata sostenne sull’Appennino tosco-emiliano nell’estate.
L’11 ottobre 1944 era nella casa del comando a Ca’ di Gostino. Poco dopo l’inizio dell’attacco dei tedeschi, quando dopo vari tentativi il comando Bob indicò come soluzione quella di fuggire dalla finestra usl retro verso Ca’ Nova. Ne approfittarono alcuni con un salto di qualche metro. Gli altri si disposero alla difesa.
Mentre Bob dentro e fuori sparava raffiche per proteggere la ritirata, il colonnello Saba uscì sull’aia, sparando con lo sten, finchè non fu visto piegarsi a terra senza un grido.