Il 10 ottobre 1944 era a Ca’ di Malanca tra i quaranta volontari che dovevano tentare di sfondare la linea dell’esercito tedesco per aprire un varco di sorpresa nel quale le compagnie presenti nella zona sarebbero intervenute per allargarlo e raggiungere gli alleati consegnando a loro l’intero settore.
Il tentativo non ebbe successo e quando fu il momento del bilancio mancavano all’appello anche Sergio Panof, sovietico del gruppo di Amato e il viennese Carlo Sadavich, addetto al comando, che i contadini trovarono morti alcuni giorni dopo sul sentiero di Poggio Corneto.
Stefano Svesch, slovaccho
Faceva parte probabilmente del corpo di spedizione slovacco che partecipò a fianco delle truppe tedesche alla seconda guerra mondiale, trasferito in Italia dopo la sconfitta di Stalingrado.
II 1° novembre 1943 la Divisione giunse a Ravenna e a Faenza. A Faenza le truppe presero alloggio nella caserma di S. Domenico, dove c’erano le stalle per i grossi cavalli usati per il traino delle carrette di cui erano dotate.
I reparti furono in gran parte disarmati ed utilizzati per lavori di costruzione nelle retrovie o come serventi nelle postazioni dell’artiglieria contraerea. II morale delle truppe era molto basso e le diserzioni numerose.
Stefano fu probabilmente uno di questi disertori e il 14 ottbre era tra i partigiani che partiti dalla infermeria di Cavina tentavano di raggiungere l’esercito inglese. Arrivati attorno a mezzanotte sulla rotabile fra Modigliana e Tredozio, in via Lutirano, a lambire la strada c’era il torrente Acerreta con uno strapiombo verticale di pura roccia, profondo non meno di 20 metri, senza alcun appiglio o sbarramento o indicazione. C’era un po’ di neccia, due pattuglie si posero ai lati del punto di passaggio e la testa della colonna attraversò in fretta andando incontro al burrone non visto. «I primi – ha scritto Nazario Galassi – Andrea Gualandi (Bruno) e Angela Giovannini, precipitati dal punto più alto, morirono subito. Corrado, il dr. Angelo, Topi, Consilia e qualche altro dovettero a una deviazione l’essersela cavata con fratture alle costole o ferite leggere al volto. Uno slovacco, Stefano Svesch, con una gamba spezzata, si nascose nel greto fino a giorno, quando cercò aiuto dai contadini. Ma fu catturato, condotto a Pieve di Tussino e fucilato il giorno stesso».
Gino Grandi, Moro
Gino Grandi,“Moro”, figlio di Ottavio ed Elvira Ravaglia, nato il 17 settembre 1918 a Ozzano Emilia; ivi residente nel 1943. Licenza elementare. Commerciante.
Vice commissario politico di compagnia.
L’11 ottobre 1944, era a Piano di Sopra quando i tedeschi attaccarono la casa arrivando d’impeto, quattro o cinque per volta. Il primo attacco da sua fu respinto. Allora, come ha scritto Nazario Galassi, «ripetendo con più vigore l’azione del primo assalto dalla parte del pozzo, salirono la montagna dal fianco nord. Qui lo scontro fu duro. Morì il vicecommissario Moro, colpito alla testa mentre stava sparando; ma anche questo secondo assalto venne respinto».
Il padre fu ucciso dai fascisti.