Roberto Gherardi, il Vecchio

  • Roberto Gherardi
  • Roberto Gherardi alla vigilia del matrimonio con Vittoria Guadagnini nel 1925
  • Roberto Gherardi in una foto scattata negli anni '30 in URSS, dove frequentava un corso politico, con la moglie Vittoria Guadagnini ed il figlio Giuliano
  • Roberto Gherardi con alcuni compagni di lotta nel 1938 in Spagna. Roberto è il terzo da destra in piedi
  • Roberto Gherardi con alcuni compagni in Spagna. Roberto è seduto a fianco del fisarmonicista
  • Ex combattenti delle brigate internazionali in Spagna in cura per le ferite riportate in Francia nel 1939. Roberto Gherardi è il primo da sinistra
  • Roberto Gherardi in Francia nel campo di concentramento di Vernet
  • Roberto Gherardi a cavallo nell'Appennino nel 1944
  • Comando 36 Brigata Garibaldi. a Ca' di Gostino Estate 1944. Accasciato a destra Roberto Gherardi.
  • Gruppo di partigiani della 36 Brigata Garibaldi. Da sinistra si riconoscono: Romani, Ricci, Linceo Graziosi, Sergio Bonarelli, Roberto Gherardi

Roberto Gherardi, nato il 4 dicembre 1899 a Castel Guelfo di Bologna.
Nel 1943 residente a Imola. Calzolaio.
Membro del PCI dal 1921, partecipò attivamente alla lotta antifascista.
Arrestato nel settembre 1926 a seguito della scoperta dell’organizzazione comunista imolese, con sentenza del 13 giugno 1927 fu rinviato al Tribunale speciale. La sentenza istruttoria investì 276 antifascisti, 19 dei quali furono rinviati al Tribunale speciale, mentre gli altri 257 furono prosciolti perché le prove a loro carico erano limitate agli anni antecedenti le leggi eccezionali. Il 23 luglio 1927 fu condannato a 4 anni e 9 mesi di reclusione.
Liberato alla fine del 1929 riprese la sua attività politica e si sottrasse a un nuovo mandato di cattura espatriando. Dalla Francia fu inviato nell’URSS per frequentare un corso politico. Qui fu raggiunto dalla moglie, Vittoria Guadagnini, anch’essa attiva antifascista.
Entrò in Spagna proveniente dall’URSS, nel maggio 1937, per la difesa della Repubblica e contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco. Appartenne al gruppo artiglieria internazionale con il grado di tenente : ebbe anche funzioni di interprete presso il comando. Nello stesso anno fu schedato e nei suoi confronti emesso un mandato di cattura, se fosse rimpatriato. Lasciò la Spagna nel febbraio 1939. Fu internato nei campi di concentramento di Saint-Cyprien, di Gurs e di Vernet-d’Ariége. Nei campi ebbe funzioni di dirigente del partito comunista e di istruttore di corsi di storia politica.
Tradotto in Italia il 31 gennaio 1942 venne condannato a 4 anni di confino e relegato nell’isola di Ventotene (LT).
Liberato nell’agosto 1943, fu arrestato il 16 dicembre 1943 a seguito dell’esplosione di due bombe sul davanzale delle finestre della caserma Della Volpe sede della GNR e trattenuto in carcere per alcuni giorni. Nuovamente incarcerato l’11 gennaio 1944 perché in possesso di documento di identità non vistato secondo le disposizioni emanate dal commissariato di PS. Era a Imola il periodo della feroce rappresaglia sul gruppo di D’Agostino e Bianconcini, quando il carcere, oltre alle torture, significava la caduta in ostaggio col rischio della fucilazione o della deportazione. Ottenne dopo pochi giorni la libertà con la promessa di informare sulla rete resistenziale. Ma subito ne riferì ai responsbaili dell’organizzazione comunista, che in via cautelativa lo sospese e gli consigliò di prendere la via della montagna.
Con lo pseudonimo attribuitogli di Vecchio, perchè il più anziano del gruppo, gli venne riconosciuto per abnegazione ed equlibrio, l’incarico di commissario di compagnia prima, di vice commissario della brigata oltre alla fine della sospensione del partito.
L’11 ottobre era a Ca’ di Gostino quando iniziò l’attacco dei tedeschi. Si pose ad incitare la resistenza sul retro della casa verso la vigna. Quando Bob diede l’ordine di abbandonare la casa per dirigersi verso Piano di Sopra fu colpito mortalmente nei pressi del pagliaio.
Aveva con sé una borsa con i documenti, il bollettino, il ruolino e la cassa della brigata, di cui i tedeschi si impossessarono. Un documento della polizia militare segreta tedesca con relazione sulla battaglia di Purocielo riportò in proposito: «sono di particolare valore i documenti trovati addosso a un bandito ucciso. Si tratta di informazioni sulle tabelle di indicazione tedesche, indicazioni sull’attività del giorno (il bollettino della brigata, n.d.r.), istruzioni del comando generale dell’Italia occupata per quanto riguarda lo scioglimento delle formazioni partigiane e anche una lista di persone che operano come informatori per la Wehrmacht e per i fascisti. Oltre a ciò è stato anche trovato il ruolino della 36ª brigata, da cui si può dedurre che era composto da diciannove compagnie e da una compagnia comando, alla quale è aggregata l’infermeria, e da un gruppo femminile. Da questo ruolino sono stati trovati i nomi di tedeschi appartenenti alla Wehrmacht e resi noti al direttore della polizia militare presso l’Alto Comando Sudovest. Inoltre sono stati trovati i nomi di persone che si trovano nell’attuale zona di operazioni». Non è detto della cassa della brigata contenuta in quella borsa.

Vittoria Guadagnini, moglie di Roberto Gherardi.

Vittoria Guadagnini

Nata a Imola l’1 marzo 1903 e morta a imola l’1 giugno 1997.
Si sposò con Roberto Gherardi e nell’ottobre 1929, mentre il marito era in carcere, aderì al Partito comunista, fondando con altre donne, tra cui alcune operaie della Castelli, la prima cellula comunista femminile imolese. Si occupò della diffusione e della distribuzione della stampa antifascista clandestina, trasformando la sua casa in un deposito e centro di smistamento, nonché luogo di incontro degli oppositori.
Fu tra le organizzatrici con Prima Vespignani e Giovanna Zanarini della protesta contro la fame e la disoccupazione delle donne imolesi dell’8 marzo 1930. Fu poi partecipe di numerose altre manifestazioni contro il fascismo nei primi anni Trenta.
Nel 1934 si trasferì con il figlio in Unione Sovietica per raggiungere il marito fuoriuscito. In Urss si diplomò dattilografa e lavorò alla scuola leninista internazionale e a Radio Italia. Fu delegata al primo congresso internazionale femminile.
Chiese di tornare in Italia allo scoppio della seconda guerra mondiale e per rientrare nella Penisola passò per la Francia dove riallacciò i rapporti con il Partito comunista italiano. Tornò a Imola nel 1942; in seguito fu arrestata dai fascisti che la rilasciarono dopo un mese circa, non prima di averla sottoposta al giudizio della commissione per l’assegnazione al confino che non la condannò, ma la invitò a non occuparsi più di politica.
Dopo l’8 settembre 1943 continuò la sua attività e fu tra le fondatrici e le organizzatrici dei Gruppi di difesa della donna di cui divenne dirigente provinciale a Bologna. Contribuì a organizzare le donne e a creare Gruppi di difesa in numerosi comuni della provincia di Bologna.
Diresse con altri lo sciopero delle mondine di Molinella del 1944 e partecipò ad altre manifestazioni femminili, tra cui la manifestazione di protesta delle donne imolesi del 29 aprile 1944 e lo “sciopero del sale” a Bologna del 3 marzo 1945.

Ritorna alla pagina con la foto della lapide e l’elenco dei Caduti nella Battaglia di Purocielo

Adolfo Bonfanti, il Romano

Adolfo Bonfanti, il Romano

Nato il 17 settembre 1907, nel 1943 era residente a Roma.
All’alba del 17 aprile 1944 ebbe inizio il rastrellamento del Quadraro, quartiere popolare di Roma ad otto chilometri dal centro. Con questa operazione, voluta da Kappler e dal questore Caruso, per rompere la solidarietà prestata alla Resistenza e per recuperare necessaria e preziosa mano d’opera per il Reich, gli uomini di ogni età vennero strappati dalle loro abitazioni e dopo una prima selezione e registrazione furono portati nel campo di raccolta di Cinecittà.
Delle 1.500/2.000 persone catturate fu fatta una selezione per individuare i prigionieri più idonei al lavoro forzato. Tra rilasci e fughe, furono 947 a partire per il campo di transito di Fossoli da dove era previsot lo smistamento nei campi di lavoro in Germania e Polonia, ufficialmente per “lavoratori volontari”.
Una decina di prigionieri riuscì a fuggire dal campo di concentramento di Fossoli. Giuseppe Caprari fuggì, gettandosi dal treno, nel tratto tra Fossoli e Suzzara. Con lui fuggirono Renato Corsi e Adolfo Bonfanti.
Dopo questa fuga Adolfo Bonfanti entrò a far parte della 36ª Brigata Garibaldi dove era chiamato “il Romano”.
La mattina dell’11 ottobre è tra i presenti a Ca’ di Gostino.
Quando Bob diede l’ordine di ritirata verso Piano di Sopra fu tra i partigiani colpiti mortalmente dai tedeschi nell’uscita dalla casa. Più precisamente cadde al termine dell’aia, all’inizio del campo, insieme al brigadiere dei carabinieri di Casola Valsenio, Giovanni Laharnar.

Sugli avvenimenti romani nella zona del Quadraro dove venne arrestato Adolfo Bonfanti:
«Il Quadraro è un quartiere di Roma, posto nel quadrante sud – est, che oggi sollecita sentimenti contrastanti: molti non sanno nemmeno identificarlo nel più ampio settore del Tuscolano e almeno altrettanti lo immaginano, senza forse esserci stati e solo sulla scorta del racconto, come desolato e pericoloso, abitato da cittadini se non violenti certamente un po’ fuori dal comune.
In realtà gran parte di questo immaginario è dovuto all’oblio in cui dal 10 aprile 1944 il quartiere è stato fatto più o meno consapevolmente cadere.
Una rimozione collettiva e si potrebbe dire storicizzata non solo del quartiere e della sua gente, ma anche dei relativi fatti che a quel 10 aprile portarono e che lasciarono un segno indelebile nel Quadraro.
Tutto il quadrante della città che si disponeva e si dispone intorno alla Casilina e che si estende fino alla Tuscolana, fu zona chiave durante l’occupazione nazista: la Casilina soprattutto era percorsa dai convogli tedeschi che potavano munizioni e rifornimenti alle truppe che stavano difendendo la Linea Gustav. Cassino, Monte Maio, Esperia, tutto il basso Lazio insomma e i territori confinanti potevano essere raggiunti da Roma percorrendo la Casilina.
La Resistenza romana fu particolarmente impegnata in questa parte della città. Non solo i partigiani del CLN, ma anche Bandiera Rossa operarono in questa parte della città, con operazioni di attacco alle forze tedesche, di assalto alle colonne dei convogli, con l’obiettivo certamente di impedire che i rifornimenti arrivassero verso la linea Gustav, in primis Monte Maio avamposto di difesa di Monte Cassino, ma con l’obiettivo anche di ridistribuire i viveri così sottratti alla popolazione ridotta alla fame.
La collaborazione tra partigiani e gente era perciò strettissima. In cambio la gente copriva la fuga dei partigiani, aiutava la lotta e sosteneva la resistenza e ospitava disertori che si sottraevano alla giustizia militare, non senza la collaborazione dei tanti parroci del territorio che non si tirarono in dietro.
Il tessuto sociale e la condivisione delle stesse istanze e degli stessi bisogni, insieme ad una conoscenza del territorio ed una sua particolare conformazione geologica fece si che presto questa parte della città diventasse un luogo dove più semplice era nascondersi.
«Vuoi sfuggire ai nazisti? Rifugiati in Vaticano o vai al Quadraro»: così si diceva a Roma nei mesi terribili dell’occupazione. La fama di questo spicchio a sud-est della città veniva addirittura paragonata all’extraterritorialità vaticana. Il bisogno di ribellione, la necessità di tornare liberi, dei suoi cittadini stavano poi in tanti atti di opposizione al regime in cui i combattenti erano consapevoli di esporre la propria persona al rischio di morte.
Tra questi un episodio, mai completamente chiarito nella dinamica e che nel tempo ha assunto quasi la connotazione del mito, ne spiega il carattere indomito: era il 10 aprile del 1944, quando un gruppo di tedeschi in divisa cominciò a provocare Giuseppe Albano, il celeberrimo Gobbo del Quarticciolo – figura volutamente descritta come ambigua ed ambivalente dopo la guerra, una sorta di Robin Hood sottoproletario, un po’ rapinatore e un po’ partigiano – seduto ai tavoli dell’osteria “Da Giggetto” al Tuscolano insieme con i suoi amici. Lui non si fece pregare e sparò ai tre nazisti.
Più probabilmente il Gobbo, che per due mesi con la sua banda aveva dato filo da torcere ai Nazisti nel quadrante Centocelle Quarticciolo, si ritrovò solo per caso insieme ai tre soldati tedeschi e per paura di essere riconosciuto e portato in galera, sparò per primo, uccidendoli.
L’episodio non è mai stato chiarito nel dettaglio e non si sa quanto esso abbia influito sulla decisione di Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, di impartire una lezione esemplare alla popolazione del quadrante sud – est della città. Lezione che si tradusse nel rastrellamento del “Nido di Vespe”, il nome che i Nazisti usavano per indicare il Quadraro.
Presa la decisione il 17 aprile 1944 l’esercito tedesco entrò nel quartiere e arrestò più di 900 uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni, che furono deportati in Germania per lavorare nell’industria bellica. Alla fine della guerra, un numero imprecisato (chi dice 2 chi dice 200) di abitanti del quartiere fece ritorno a casa dopo un estenuante viaggio fatto per lo più a piedi».
(da https://www.romatoday.it/eventi/quadraro-il-quartiere-ribelle-2985485.html)

Torna alla pagina con la foto della lapide e i nomi dei caduti nella Battoglia di Purocielo

Alfonso Bagni

 

Alfonso Bagni

Nato a Molinella (Bologna) il 20 marzo 1900. Licenza elementare. Sarto.
Entrato nella 36ª Brigata Garibaldi Bianconcini nel giugno 1944.
Il 16 agosto a Bologna il fratello Desildo, fu arrestato a Marmorta di Medicina insieme ad altri sei uomini, alcuni dei quali militanti o simpatizzandi della 5ª Brigata Matteotti «Bonvicini». Il 18 agosto questo gruppo fu scelto come vittima per porre in atto una immediata rappresaglia in seguito all’attacco avvenuto nei pressi dell’Ospedale Sant’Orsola con il ferimento del tenente colonnello Mario Rosmino, vice comandante provinciale della Guardia Nazionale Repubblicana e di altri due militi che lo accompagnavano. Trascinati in Piazza VIII agosto i sette furono fucilati da un plotone di esecuzione della Guardia Nazionale Repubblicana.
Durante la battaglia di Purocielo si trovò nel gruppo che si fermò sul crinale di Monte Colombo provenendo da Ca’ di Gostino, Piano di Sopra e Ca’ di Marcone. Sotto l’attacco tedesco questo gruppo si divise e Alfonso, insieme a Benvenuto, Tonino e il Ligure, si unì a Raf nella macchia di bosco ceduo sottostante la casa del monte, dove rimase fino a notte con il rischio di farsi catturare o di essere colpito dai compagni che sparavano dall’altro versante. Questo gruppetto raggiunse al buio Poggio Termine.
Alfonso, gravemente ferito, venne portato successivamente nella canonica della chiesa di Cavina (Fognano – RA), con altri partigiani feriti e intrasportabili. Erano con loro per curarli i medici Ferruccio Terzi e l’austriaco Wilhelm, lo studente in medicina Renato Moretti e gli infermieri partigiani Laura Guazzaloca e Sergio Giulio Minozzi.
Terribile fu la loro sorte. All’alba del 14 ottobre, i tedeschi, vociando, entrarono nella canonica. Fatti uscire tutti, li addossarono contro il muro. Ai tentativi dell’Angiola e di Wilhelm di persuadere l’ufficiale a desistere, questi scacciò la donna e percosse l’austriaco. Poi, caricati i feriti su di un carro-buoi, seguito a piedi dagli altri prigionieri sotto scorta militare, li fece condurre dentro un capanno situato nel cortile dell’ospedale di Brisighella. Mancava Wilhelm, crivellato di proiettili al suo tentativo di fuga presso il cimitero di S.Stefano.
Era sembrato che il comando divisionale avesse consentito quel ricovero con l’assistenza del personale partigiano, ma la notte fra il 16 e il 17 ottobre i militi della brigata nera di Faenza caricarono tutti su un camion, feriti, medici, infermieri, e li portarono a Villa S. Prospero, sede del loro comando, dove vennero bastonati e torturati.
Il loro tormento ebbe fine il 18 ottobre al Poligono di tiro di Bologna assieme ai catturati di Purocielo. I loro nomi: Ferruccio Terzi, medico di Bologna; Renaot Moretti, studente di Medcina di Trieste; Sergio Minozzi infermiere di Bologna; Alfonso Bagni di Molinella, Nino Bordini di Faenza; Giovanni Borghi (Gianni di Bologna); Adelmo Brini (Delmo) di Medicina; Mario Guerra (Mao) di Filo d’Argenta; Romolo Menzolini (Bill) di Bologna; Attilio Ottonelli (Attilio) di Parma; Iliano Pasciutti (Leo) di Bologna; Luigi Rispoli (Napoli) di Napoli; Teodosio Toni (Tigre) di Solarolo. La giovane infermiera Laura Guazzaloca, internata nel campo di Fossoli, vi venne uccisa il 23 novembre.

Torna alla pagina con la foto della lapide e i nomi dei Caduti nella Battaglia di Purocielo