Pietro Muratori, Carlino

Pietro Muratori, nome di battaglia “Carlino”, figlio di Emilio e Amedea Fazzi; nato l’8 novembre 1921 a Bologna; ivi residente nel 1943. Operaio marmista.
Militò nella 36ma brigata Bianconcini Garibaldi e operò sull’Appennino tosco-emiliano.
L’11 ottobre 1944 era al Piano di Sopra, durante l’attacco dei tedeschi e restò per ultimo insieme a Cesco. Insieme tentarono la fuga quando i tedeschi erano già sull’aia. Il primo, scaltro per natura e fatto esperto dalla campagna di Russia, si salvò correndo a zig-zag e voltandosi ogni tanto a sparare col mauser. Invece Carlino corse diritto e si fece catturare.
Il suo corpo fu trovato dal fratello marmista tra i fucilati alla Certosa di Bologna.

Renato Moretti

Renato Moretti, da Pietro e Laura Guarrini; nato il 6 novembre 1921 a Trieste. Nel 1943 residente a Ravenna. Studente universitario. Iscritto al 2° anno della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università di Bologna.
Nella primavera 1944 decise di unirsi al gruppo medico-sanitario facente capo al prof. Romeo Giordano. Prestò la propria assistenza sanitaria ai partigiani operanti sulle colline di Pianoro e Monte San Pietro.
In attesa di raggiungere la divisione Modena a Montefiorino (MO), il gruppo pose la sua prima base alle Ganzole (Sasso Marconi) e poi a Calderino (Monte San Pietro). Successivamente, su decisione del CUMER, il presidio sanitario fu assegnato alla 36a brigata Bianconcini Garibaldi.
Il 7 agosto 1944, raggiunta la brigata, gli venne affidato il compito di amministratore della dotazione sanitaria. Prese parte ai combattimenti sulla Bastia e a Santa Maria di Purocielo (Brisighella – RA) dell’11 ottobre 1944.
Dopo la battaglia di Santa Maria di Purocielo, mentre il grosso della brigata si apprestava a varcare il fronte, insieme a Ferruccio Terzi, medico, a Sergio Giulio Minozzi e Laura Guazzaloca, entrambi con funzione di infermiere, rimase ad assistere i partigiani feriti e intrasportabili, nascosti nella canonica di Cavina.
All’alba del 14 ottobre, i tedeschi, vociando, entrarono nella canonica. Fatti uscire tutti, li addossarono contro il muro. Caricati i feriti su di un carro-buoi, seguito a piedi dagli altri prigionieri sotto scorta militare, li fece condurre dentro un capanno situato nel cortile dell’ospedale di Brisighella. Mancava Wilhelm, crivellato di proiettili al suo tentativo di fuga presso il cimitero di S.Stefano.
Era sembrato che il comando divisionale avesse consentito quel ricovero con l’assistenza del personale partigiano, ma la notte fra il 16 e il 17 ottobre i militi della brigata nera di Faenza caricarono tutti su un camion, feriti, medici, infermieri, e li portarono a Villa S. Prospero, sede del loro comando, dove vennero bastonati e torturati.
Trasferito a Bologna, insieme ai feriti catturati dall’infermeria di Purocielo, il 20 ottobre 1944, per ordine del comando SS, con i compagni provenienti da Purocielo venne fucilato al Poligono di tiro.
E’ stato insignito di medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.

Antonio Mereu, Attila

Antonio Mereu, «Attila», da Sebastiano e Pasqua Carroni; nato il 20 ottobre 1920 a Nuoro; ivi residente nel 1943. Ufficiale dei bersaglieri.
Nella primavera 1944 entrò a far parte della 2ª brigata GL Montagna Jacchia — divenuta la 66a brigata Jacchia Garibaldi — comandata da Gilberto Remondini “Ivan” e operante nella zona di Monte Calderaro nella valle del Sillaro. Essendo ufficiale, riteneva che spettasse a lui il comando della formazione e non a uno studente in medicina. Il contrasto tra i due era anche politico perché Remondini militava nel PdA e lui nel PCI.
Ha scritto Giuseppe Campanelli che «entrambi avevano qualità personali e prestigio sufficiente per comandare tutta la formazione», e Aldo Bacchilega che «entrambi aspiravano alla supremazia del comando». Alla fine della contesa, verso la metà di giugno, se ne andò «per dissensi che cominciarono a venire nel comando», come ha scritto Eros Poggi. Da altre fonti non emergono dissensi dovuti alle diverse esperienze prima della Resistenza e secondo Ferruccio Montevecchi «diversi tenenti dell’esercito, come Carlo, Ivan, Attila, Beppe, Sergio, Corsaro, Lupo furono comandanti di compagnia, ma non si differenziavano da altri comandanti come Simì, Pirì, Paolo, Negus, Tito, Guerrino, senza o con pochi precedenti militari». La sua presenza nella Resistenza ha inoltre un ulteriore valore evidenziato sempre da Ferruccio Montevecchi in una riflessione sui sardi che militarono nella 36ª: «in genere erano soldati il cui “ritorno a casa” era stato impedito dalla barriera del fronte. Avrebbero potuto arruolarsi nelle milizie o nell’esercito della Rsi, come diversi di loro; sarebbero stati ben pagati e avrebbero corso rischi minori. Per non dire poi degli ufficiali come Attila, il Corsaro e lo stesso Saba, che sarebbero stati compensati con stipendi di favola e meno soggetti a rispondere delle loro azioni, proprio perchè lontani dal loro ambiente sociale. Parteciparono invece alle vicende della 36ª a pieno titolo».
Attila passò alla 36ª brigata Bianconcini Garibaldi e assunse il comando della 2ª compagnia. Prese parte a tutti i combattimenti della brigata e divenne uno dei più stimati comandanti della formazione. Il 6 agosto 1944 in uno scontro con i tedeschi in località Castagno (Casola Valsenio) si distinse nella fase finale con le compagnie ormai «ai limiti della resistenza, quando Attila riuscì a far azionare il mortaio paracadutato senza congegno di puntamento e con appena dieci colpi. Ne sparò due indirizzati a occhio. Il primo cadde vicino ai nostri, il secondo andò a bersaglio, disorientando gli assalitori che non si aspettavano partigiani dotati di quell’arma».
Qualche giorno successivo, il 24 settembre, in uno scontro con i tedeschi su autocarri lungo la carrettabile diretta alla chiesa di Cavina il mortaio di Attila fu ancora una volta decisivo nel fermare i nemici.
Il 10 ottobre la sua compagnia era a Vallicella, a ovest, oltre il rio, a protezione di Ca’ di Gostino dove invece alloggiava il comando della 36ª dove Attila si fermò per uno scambio di idee con Bob (i due si stimavano molto) e dove passò la notte. Come d’accordo, fu svegliato da Topi che, assiema a Nazzaro Costa (Bastiano), era di guardia. Montato a cavallo, si accinse a rientrare presso la sua compagnia. Non era ancora alla chiesa, sulla curva della carrettabile che scende da Ca’ di Gostino, che una raffica l’abbatté. Erano le 6 del mattino: la fase culminante della battaglia di Purocielo iniziava con la sua morte.