Lo scontro sul Cimone della Bastia
Il 9 agosto 1944 i tedeschi tentarono un attacco in grande stile alla 36a Brigata Garibaldi “Bianconcini” convergendo dal versante toscano, dal Senio e dal Santerno. Il primo scontro fu sul monte Cimone della Bastia. Qui riuscirono ad avanzare, ma le compagnie partigiane guidate da Luigi Tinti li bloccarono ai Prati della Faggiola. Malgrado subissero l’attacco dell’artiglieria, i partigiani tennero le posizioni con perdite limitate e i tedeschi si ritirarono. L’indomani attaccarono dal versante sud, ma non sfondarono. Per due giorni fu guerra di posizione, coi tedeschi che continuavano ad usare l’artiglieria, ma con pochi risultati.
La mattina dell’11 nuovo attacco da sud. A Capanna Marcone la compagnia guidata da Guerrino De Giovanni “Guerrino”, una settantina di partigiani, tese un’imboscata ad un battaglione di fanteria tedesca che forse intendeva raggiungere il torrente Rovigo, che subì una pesante sconfitta con decine di morti e feriti. I tedeschi furono bloccati. Ma avendo portato in zona cannoni pesanti e numerosi mortai, sottoposero nuovamente le posizioni della 36a ad un incessante fuoco d’artiglieria.
Il Comando al Mulino Boldrino
Con l’aumentare della pressione delle truppe Alleate sulla Linea Gotica, per i comandi tedeschi era vitale impedire questi continui attacchi alle spalle del loro schieramento. Pertanto, la zona per i partigiani stava diventando molto difficile da difendere. Conseguentemente, nella notte tra il 13 e 14 agosto, il Comando della 36a decise di spostare la Brigata. Dapprima sul monte Cimone della Bastia, poi seguendo il crinale, abbandonando la valle del Rovigo.
I partigiani attraversarono di notte La Faggiola, raggiunsero Cortecchio e poi Sommorio. La notte del 23 agosto attraversarono la Casolana, raggiunsero la valle del Sintria, un torrente che scorre tra il Senio e il Lamone. Si posizionarono tra il monte Pianaccino, la parrocchia di Fornazzano e quella di Val di Fusa. Il Comando fu posto al centro della zona: nel Mulino Boldrino.
La battaglia del Rovigo fu un notevole collaudo per la 36a. Infatti, fino ad allora non si erano cimentati in una battaglia frontale e manovrata di quella ampiezza. Era raro nell’esperienza partigiana e persino fuori dalle regole della guerriglia. Avevano resistito cinque giorni nelle condizioni di accerchiamento, contrattaccando con successo. Poi, ripiegarono in ordine e ripresero la lotta con il morale alto.
La divisione della 36 in quattro Battaglioni
Il 10 settembre il CUMER (Comando regionale della Resistenza) decise di preparare le operazioni delle brigate partigiane in vista della liberazione delle città sulla via Emilia da Bologna a Faenza. La 36a fu divisa in quattro Battaglioni: il Primo e il Quarto al comando rispettivamente di Edmondo Golinelli “Libero” e Guerrino De Giovanni “Guerrino”, dovevano posizionarsi tra il Santerno e il Sillaro per scendere a Castel San Pietro e Bologna. Il Terzo di Carlo Nicoli “Carlo” doveva procedere da monte Battaglia verso Imola. Il Secondo “Battaglione Ravenna” di Ivo Mazzanti “Ivo”, dalle colline faentine doveva calare in città.