L’Albergo di Cortecchio
L’edificio in stato di abbandono chiamato l’Albergo di Cortecchio, sotto il crinale della Faggiola, in passato era stato proprio un albergo essendo posizionato in prossimità della Dogana. Infine fu un’abitazione colonica. La Dogana, edificio anch’esso abbandonato, aveva segnato il confine tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana.
Nell’Albergo il 10 novembre 1943 aveva fatto base un primo nucleo di partigiani. Era composto da sei giovani, al quale poi se ne aggiunse un’altra ventina, tutti provenienti dalla zona di Conselice, Massalombarda e Riolo, sotto la guida di Andrea Gualandi. I giovani partivano da Imola, organizzati da Giovanni Naldi e da suo padre. Sostavano a Isola di Riolo e proseguivano verso La Faggiola. A fine novembre il gruppo si spostò sul monte Falterona.
Il gruppo partigiano di Luigi Tinti “Bob” e Graziano Zappi “Mirko”
Verso la fine di gennaio del 1944 un altro gruppo di giovani di Imola e dintorni, di Riolo ed anche di Bologna, decise di trasferirsi in montagna per dare vita ad una formazione partigiana seguendo lo stesso percorso seguito un paio di mesi prima dagli altri giovani, raggiungendo a loro volta Cortecchio.
Il gruppo stavolta era guidato dallo stesso Giovanni Nardi “Caio”. Ne facevano parte tra gli altri Luigi Tinti “Bob” e Graziano Zappi “Mirko”, un giovanissimo partigiano di appena sedici anni. I nomi di battaglia di questi primi partigiani furono scelti proprio in quella occasione. “Mirko” si era allontanato da casa con una scusa e non aveva lasciato indicazioni sulla sua destinazione. Il padre lo cercò per molti mesi. Quando oramai era nata la 36a Brigata, lo rintracciò convincendolo a tornare a casa, a Bubano. Ma il richiamo della Resistenza era troppo forte e “Mirko” entrò a fare parte di un gruppo SAP di pianura fino al termine della guerra.
Il gruppo di “Caio” e l’8a Brigata
Il 23 febbraio 1944, dal versante della Faggiola, reparti di fascisti e tedeschi attaccarono il gruppo di “Caio”, che subì gravi perdite. I superstiti si dispersero nella zona per alcuni giorni. Poi, dopo essersi riorganizzati, la maggiore parte di loro intraprese una lunga marcia durata giorni e giorni per raggiungere la formazione partigiana che nel frattempo si era consolidata nella zona del monte Falterona con il nome di 8a Brigata Garibaldi. Fecero una lunga sosta nella canonica della chiesa di monte Mauro, dove si aggregarono altri giovani provenienti dalla pianura ravennate.
Ripresero la marcia e raggiunsero il comando della Brigata a Biserno, dove Andrea Gualandi “Bruno” diede loro ordine di attestarsi alle Capanne di Verghereto. Purtroppo l’8a Brigata subì una pesante sconfitta nei giorni del 19 e 20 aprile. Le perdite furono persanti. La maggior parte dei partigiani che riuscirono a sottrarsi ai rastrellamenti si spostarono in altre zone.
L’esperienza di quel tragico mese di aprile si dimostrò comunque preziosa sia per il gruppo di Nardi e Tinti ritornato nell’Appennino imolese, che per l’altro gruppo che si aggregò alla formazione di Silvio Corbari.
La 36a Brigata Garibaldi “Bianconcini”
Quasi nello stesso periodo, nel marzo 1944, la Dogana diede rifugio a un nuovo gruppo di partigiani provenienti in gran parte dall’imolese e dal bolognese. Ai primi di aprile si aggiunsero anche Guido Gualandi “Moro” e Libero Lossanti “Lorenzini”. Il 14 aprile costituirono una nuova formazione partigiana, con il nome di 4a Brigata Garibaldi di Romagna.
Giovanni Nardi e Luigi Tinti con il loro gruppo, ritornati dal Falterona trovarono rifugio a Le Spiagge. All’epoca era una villa padronale, con casa colonica e ampie stalle.
Gli edifici fra i monti Altello e Carzolano nella valle del Rovigo, sembrarono il posto adatto per farne una base partigiana. Convinsero Libero Lossanti e Guido Gualandi a spostare il comando alle Spiagge, che di conseguenza diventò il primo centro operativo della formazione. A giugno la formazione contava oltre 400 combattenti e ben 1200 verso la fine dell’estate. Il comando della Brigata, rinominata 36a Brigata Garibaldi “Bianconcini”, a ricordo dell’ex-garibaldino reduce dalla guerra civile di Spagna e fucilato a Bologna dai fascisti, fu affidato a Libero Lossanti, mentre Guido Gualandi assunse il ruolo di commissario.
Formarono due compagnie, guidate rispettivamente da Luigi Tinti e Giovanni Nardi. I partigiani che dalla pianura si aggregavano alla 36a seguivano una trafila che partiva dalle prime colline sopra Imola. Settimio Alpi e Guerrino Rocca erano alla guida. Accompagnavano nella notte gli aspiranti partigiani, coloro che portavano i rifornimenti e le staffette alla Dogana, lungo il crinale che saliva verso La Faggiola. Con una seconda tappa i gruppi raggiungevano le basi dislocate nella valle del Rovigo. Da quelle basi partirono le prime importanti azioni per prelevare armi e rifornimenti. Oppure di attacco e di sabotaggio alle colonne militari dei tedeschi, per ridurne le possibilità di movimento sulle carrozzabili, oltre ad ostacolarne la predisposizione dei sistemi difensivi.
Casetta di Tiara e l’uccisione di Nardi
Ai primi di maggio da Casetta di Tiara salì verso Cimone della Bastia un reparto fascista alla caccia dei partigiani, i quali si resero conto del pericolo e si spostarono verso il monte Altello. Ignaro del pericolo Giovanni Nardi tornava da Imola con altri sette compagni. Nei pressi di Lotro il gruppo si trovò circondato dai fascisti. Nello scontro tre partigiani, tra i quali Nardi, rimasero subito uccisi, mentre gli altri cinque rimasti feriti, furono poi fucilati. In quelle settimane i nazifascisti compirono anche alcune pesanti rappresaglie trucidando nove contadini di Casetta di Tiara.
Il comando della Brigata intanto era stato spostato a Cà di Vestro, al centro della valle del Rovigo. Si trattava di due antichi edifici allineati con annesso oratorio posti sulla riva del rio omonimo (che aveva acqua per tutto l’anno), un affluente del torrente Rovigo stesso. Le altre case che ospitarono le compagnie della 36a furono: Cà dell’Altello, Pian di Rovigo, Val Cavaliera, Pallareto, Cà di Cicci, Pian dell’Aiara, Cà di Rovigo. Cà di Vestro diventò dunque il centro amministrativo di una vasta area nella quale si dovevano garantire l’organizzazione quotidiana, le necessarie difese e il rispetto della popolazione, la cui collaborazione era quanto mai indispensabile alla Brigata. Il 14 giugno, in uno scontro ai Prati della Faggiola, fu ferito, catturato e poi ucciso, il comandante Libero Lossanti “Lorenzini”. A seguito di quel tragico evento i comandanti delle compagnie decisero di affidare il comando della Brigata a Luigi Tinti “Bob”.