Gli Alleati avanzavano e il Primo Battaglione della 36a Brigata Garibaldi “Bianconcini”, comandato da Edmondo Golinelli “Libero”, era nella valle del Sillaro per concorrere alla liberazione di Castel San Pietro e Bologna.
Intanto fra il 24 e il 25 settembre, alcune compagnie partigiane avevano contribuito a liberare Monte La Fine, Piancaldoli e Giugnola, consegnando agli americani decine di prigionieri tedeschi.
La rappresaglia e difensiva tedesca
Negli stessi giorni a Sassoleone i tedeschi misero in atto una tremenda rappresaglia. Rastrellarono vecchi, donne e bambini, trucidandone ventitre a colpi di mitraglia nei pressi della chiesa, compreso il parroco don Settimio Pattuelli.
Il comando tedesco stava cercando di riorganizzare una linea difensiva, con reparti che si ritiravano dalla prima linea lungo il crinale tra il Sillaro e l’Idice. Ma nella zona operavano alcune formazioni partigiane, tra cui le due compagnie della 36a di “Oscar” e “Guerrino”, che rappresentavano un evidente ostacolo.
L’assedio a Cà di Guzzo
La compagnia di Umberto Gaudenzi “Umberto” sostituì Guerrino De Giovanni “Guerrino” al comando. Dopo vari scontri si spostarono a Cà di Guzzo, dove era allestita l’infermeria con il ricovero di alcuni feriti. La notte tra il 26 e il 27, poco dopo mezzanotte, i tedeschi circondarono la casa: cinquantadue partigiani si trovarono contro più di duecento attaccanti. L’assedio durò tutta la notte con scontri ravvicinati. I soldati tedeschi, in quel terreno assolutamente scoperto, avanzavano alla luce dei razzi, mentre i colpi di mortaio demolivano l’edificio. I partigiani rispondevano con armi leggere e bombe a mano tenendo testa al soverchiante nemico, in un inferno di fuoco, risposero colpo su colpo.
La compagnia comandata da “Guerrino” tentò di liberare gli assediati, ma senza successo.
Ormai stremati e a corto di munizioni, nel primo mattino sotto una fitta pioggia e nella nebbia, i partigiani assediati tentarono il tutto per tutto. Guidati da “Umberto”, si aprirono la strada con i mitragliatori e le bombe a mano. Riuscirono così a rompere l’assedio pagando un prezzo altissimo in vite umane. I tedeschi entrarono a Cà di Guzzo, trucidarono i feriti, quattro civili che abitavano nel casolare ed alcuni sfollati . Nell’assedio e nella sortita morirono trentadue partigiani.
In un comunicato gli Alleati esaltarono l’eroismo dei partigiani e valutarono che i tedeschi avessero perso almeno centoquaranta uomini. Nei resoconti dei tedeschi risultò che a fine battaglia solo settanta soldati fossero rimasti validi.
Gianni Palmieri
Nella casa i tedeschi catturarono anche l’alpino Gianni Palmieri studente bolognese di medicina, che era aggregato all’infermeria della Brigata e prestava le cure ai feriti. Lo portarono alle Piane per curare i loro feriti e finita l’opera di assistenza, lo fucilarono.
A Gianni Palmieri fu assegnata la medaglia d’oro alla memoria ed a lui come martire alpino è intitolato il rifugio della Croda da Lago a Cortina d’Ampezzo.