Nato a Bologna il 16 luglio 1916. Laureato in medicina.
Terzi Ferruccio, da Alfredo e Maria Dal Re, nato il 16 luglio 1916 a Bologna; lì residente. Laureato in Medicina. Durante gli anni universitari fu responsabile della sezione cinematografica del GUF – per la quale aveva girato alcuni documentari a carattere medico – e collaboratore di “Architrave”, il mensile del GUF in contrasto con il regime. Era nipote di Arconovaldo Bonacorsi, il “conte Rossi”, comandante fascista nella Guerra di Spagna e spietato squadrista.
Dopo l’8 settembre 1943 iniziò a collaborare con il movimento di partigiano, militando nella 66ª brigata Garibaldi Jacchia e, dal 7 agosto 1944, nella 36ª brigata Garibaldi «Bianconcini», operando sull’Appennino tosco-emiliano.
Durante la battaglia di Purocielo era nella compagnia di Amato a Ca’ di Malanca, dove il 10 ottobre iniziarono i combattimenti. Quando fu notte collaborò a trasferire l’infermeria a Poggio Termine di Sopra, dove la famiglia Mordini aveva messo a disposizione il piano superiore del veccio casolare. C’erano con lodo feriti gravi: Mao e Deliano moribondi, Luigi Rispoli, Giovanni Borghi, Nino Bordini (Gnaf) e Roberto Farina.
Dopo l’attacco della mattina dell’11 ottobre a Ca’ di Gostino e Piano di Sopra, la casa di Poggio Termine si trovò ad essere il punto più esposto all’attacco tedesco. Fino a sera ci fu un aspro combattimento che i partigiani riuscirono con un grande volume di fuoco a mantenere a distanza sugli opposti versanti della valle. In quel trambusto, secondo la testiomnianza di Nazario Galassi, nell’infermeria al primo piano della casa una raffica di spandau entrata dalla finestra arrivò a colpire di striscio Farina, uno dei feriti di Ca’ di Malanca. In tutto quel frastuono Ferruccio e gli altri medici, Angelo, Renato e Wilhelm insieme alle infermiere Laura, Angelina e Anna e agli infermieri Romeo e Sergio, operavano, cucivano, tamponavano, fasciavano senza fiale antitetaniche e senza alcol, utilizzando strisce di lenzuola per bende e acqua bollita con sale per disinfettante in due stanza, che i colpi di mortaio contro i muri empivano di polvere.
Nel giorno successivo, 12 ottobre, Poggio Termine fu di nuovo l’epicentro della battaglia, ma ben difesa anche grzie alle postazioni scavate la notte e mimetizzate. A sera si disposero i preparativi per la partenza verso Cavina. I feriti più gravi vennero adagiati su barelle di fortuna, utilizzando scale e altro, fatica tremenda per chi dovette trasportarli su sentieri impervi, uno strazio per loro.
Tre medici, tra cui Ferruccio, due infermieri e Laura rimasero nella chiesa parrocchiale di Cavina. Terribile fu la sorte di questo gruppo. All’alba del 14 ottobre, i tedeschi, vociando, entrarono nella canonica. Fatti uscire tutti, li addossarono contro il muro. Ai tentativi dell’Angiola e di Wilhelm di persuadere l’ufficiale a desistere, questi scacciò la donna e percosse l’austriaco. Poi, caricati i feriti su di un carro-buoi, seguito a piedi dagli altri prigionieri sotto scorta militare, li fece condurre dentro un capanno situato nel cortile dell’ospedale di Brisighella. Mancava Wilhelm, crivellato di proiettili al suo tentativo di fuga presso il cimitero di S.Stefano.
Era sembrato che il comando divisionale avesse consentito quel ricovero con l’assistenza del personale partigiano, ma la notte fra il 16 e il 17 ottobre i militi della brigata nera di Faenza caricarono tutti su camion, feriti, medici, infermieri, e li portarono a Villa S. Prospero, sede del loro comando, dove vennero bastonati e torturati. Il tormento di Ferruccio e degli altri ebbe fine il 18 ottobre al Poligono di tiro di Bologna assieme ai catturati di Purocielo.
Gli è stata conferita la medaglia d’argento al valore militare.