Domenico Neri, «Mino», figlio di Francesco e Luigia Poli; nato il 14 maggio 1924 a Casola Valsenio,(RA); ivi residente nel 1943. Studente del 4° istituto tecnico.
Fuggito dal distretto di Ravenna, con l’inizio della guerra di liberazione, tentò con alcuni suoi paesani un esperimento partigiano alla Canovaccia di Monte Battaglia.
Dalla primavera 1944 militò nella 36ª brigata Bianconcini Garibaldi. Inserito nella compagnia comandata dell’ufficiale sardo Angelo Murru (Corsaro), paracadutato dagli Alleati allo scopo di organizzare squadre di sabotatori, con commissario politico il perseguitato Bruno Innocenti di Scarperia. A questa compagnia, composta da una cinquantina di renitenti della zona Fantino-Lozzole fu assegnata il rifugio delle Spiaggie. Agli inizi di agosto, alla vigilia dell’attacco alla Bastia, il Comandante Angelo Murru (Corsaro) fu inviato presso gli Alleati per ottenere aviolanci, in una missione che non ebbe esito, e al suo posto fu nominato comandante della 9ª compagnia lo studente di Casola, Domenico Neri (Mino).
Con la sua compagnia Domenico Neri partecipò alle varie battaglie, dal Carzolano a Sommorio. Cadde il 24 settembre 1944, colpito alla fronte, in uno scontro con i nazifascisti a Monte Giornetto, sopra Strada Casale. Come ricostruisce Nazario Galassi «Domenico Neri (Mino), febbricitante, nello sporgersi da un rilievo fu centrato in piena fronte. Era molto considerato a Casola e nella sua compagnia, che era sul punto di sbandarsi quando sopraggiuse Bob. A fermare i tedeschi furono però il Gap di Palì, che li sorprese allo scoperto, e il mortaio di Attila».
E stato decorato di medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
A suo nome è stato intestato un viale a Casola Valsenio.
Testimonianze sulla sua morte
Mario Badiali
Commissario politico della Brigata «Celso Strocchi » (1944-1945).
La brigata GAP « C. Strocchi » è dislocata nel settembre 1944, sulle pendici di monte Mauro ed è in fase di riorganizzazione. Finora essa ha operato a gruppi e compagnie sparse su tutto il vasto territorio dell’ottava zona militare. Adesso invece viene riunita in un’unica formazione per poter disporre di un più forte schieramento unitario, in vista delle operazioni finali.
Di fronte a noi, in Santo Stefano, sul versante destro del Sintria, stanzia il « battaglione Ravenna », della 36a brigata Garibaldi. È domenica e fra poco sarà giorno. Siamo appena rientrati indenni dall’attacco a una colonna di carri armati, che transitava sulla strada delle Calbane. Abbiamo disposto i turni di guardia e di vedetta e ci accingiamo a dormire.
Ma non facciamo in tempo a prendere sonno che in Santo Stefano comincia un furioso combattimento e tutto ci fa supporre che si tratti di un attacco a sorpresa contro il «battaglione Ravenna». Adottate le misure di sicurezza tentiamo di stabilire un collegamento con la formazione garibaldina, inviando sul posto una nostra pattuglia. Questa, giunta al comando, apprende che una colonna tedesca aveva tentato di penetrare nello schieramento partigiano ed era stata aggredita e dispersa verso il Sintria, cioè verso il territorio presidiato dalla «C. Strocchi».
Presi gli opportuni accordi col comandante Ivo, i gappisti inseguono i fuggitivi spingendoli nella rete delle nostre vedette. Poi, al fine di fronteggiare meglio un ulteriore prevedibile assalto nemico, la brigata GAP e il «battaglione Ravenna» decidono di far fronte comune a Cavina e subito si mettono in marcia per giungere a mezzogiorno nel luogo convenuto. Intanto le SS e le brigate nere, muovendo da Brisighella, Riolo Bagni, Faenza e Forlì, si dirigono contro di noi ad iniziare dalla mattina del 24 settembre, con lunghe colonne di automezzi.
La nostra difesa si articola su due capisaldi: il primo fa perno sul promontorio di monte Giornetto, dentro la casa della Collina, ed è affidato alla compagnia di Mino (Domenico Neri), mentre quella di Attila (Antonio Mereu) si schiera lungo il crinale, in seconda posizione; l’altro caposaldo è situato sopra uno sperone laterale che, staccandosi da monte Giornetto, si protende verso il Sintria e blocca la strada che da San Michele conduce a Cavina. Questa posizione è affidata ai gappisti.
Quando le nostre compagnie giungono in cima al poggio si scontrano coi tedeschi e ne segue un combattimento a corpo a corpo. I nazisti vengono rigettati, ma comincia subito il mitragliamento a distanza delle nostre postazioni. Anche noi rispondiamo al fuoco e il duello si fa serrato. Le raffiche degli «spandau» forano il terreno dove i nostri stanno distesi a prendere la mira. La battaglia si protrae per diverso tempo finché il tiro preciso dei nostri non riduce al silenzio gli avamposti nemici.
Vista l’impossibilità di infrangere lo schieramento partigiano sul fianco sinistro, i nazisti tentano di avanzare lungo il crinale di monte Giornetto, ma anche qui incontrano una tenace resistenza. Dalle finestre e intorno la casa della Collina si combatte con accanimento, diversi assalti nemici vengono respinti, poi il comandante Mino è colpito in fronte da un proiettile esplosivo e muore nel colpo.
Raccolto il giovane comandante caduto, i partigiani hanno un momento di smarrimento e indietreggiano verso Cavina. In quell’istante sopraggiunge il comandante di brigata, Bob, che impone la riconquista della casa, e fa poi avanzare di lato la compagnia di Attila, il quale mette in azione l’unico mortaio della 36a brigata.
I tedeschi ripiegano e la battaglia è vinta. I tedeschi continuano tuttavia a sparare fino a sera, allo scopo di raccogliere i caduti e poi, sulla via del ritorno, incendiano tre case e massacrono cinque contadini.
Noi ci spostiamo verso il torrione di Calamello, sfilando prima davanti alla salma di Mino, ricomposta nella chiesetta di Cavina. Il giorno seguente il nostro caduto viene sepolto nel cimitero parrocchiale.
Teodoro Morara
Partigiano nella 36.a Brigata Garibaldi (1944- 1945).
La battaglia più dura che ho combattuto è stata quella di monte Giornetto, del 24 settembre 1944.
Due giorni prima la compagnia del Biondo (Gino Agostini) aveva teso un’imboscata a una colonna tedesca diretta al fronte con rifornimento di armi, munizioni e viveri.
I tedeschi si sbandarono, poi intervenne anche la compagnia di Ribelle (Rino Rossi) e allora fuggirono abbandonando tutto nelle nostre mani: 30 fra cavalli e muli e il relativo carico. Morirono dodici tedeschi e noi avemmo tre feriti.
Nelle prime ore del pomeriggio i tedeschi vennero all’attacco delle nostre posizioni a monte Giornetto, nella montagna faentina. Con loro c’erano anche dei fascisti. Io ero con Mino (Domenico Neri, studente di Casola) che era il comandante della mia compagnia e con noi c’era anche il comandante Bob. Lasciammo venire avanti i nemici fino a tiro d’arma corta e poi aprimmo il fuoco. Fuggirono urlando come matti e noi al contrattacco. Avemmo un morto, uno solo, e proprio Mino, colpito in piena fronte da un colpo di fucile.