Bruno Pirazzoli, «Tom», figlio di Giacomo e Beatrice Musi; nato il 3 giugno 1918 a Imola; ivi residente nel 1943. Barbiere.
Amico di Giovanni Nardi, fece parte del gruppo di sei ragazzi – tutti ventenni che già avevano fatto parte della «guardia nazionale», l’embrionale formazione giovanile promossa dal Pci per il recupero delle armi abbandonate dalla divisione «Celere» in dissoluzione – che, subito dopo l’8 settembre 1943, decise, in disaccordo con il PCI imolese, di recarsi in Istria per partecipare alla lotta di liberazione. Di quei sei solo Nardi e Pirazzoli, a fine ottobre, fecero ritorno.
Nel gennaio 1944 decise di entrare nel movimento partigiano operante sull’Appennino tosco-emiliano. Militò nella 36ª brigata Bianconcini Garibaldi, con funzione di commissario politico di compagnia.
L’11 ottobre si trovava al Piano di Sopra. Beppe Campanelli nel suo libro “Nè paga né quartiere” descrive così il momento che segnò la morte del commissario Bruno Pirazzoli (Tom): «mi vien voglia di fumare, una voglia feroce. Riesco a farmi una specie di sigaretta con briciole di non so che cosa che trovo rovesciando una tasca e con un pezzo di carta. L’ho appena accesa che entra Tom, ridente, come trasfigurato, con lo sten in mano, i riccioli corti che gli cadono sugli occhi: “Carogna, tu fumi! … Dammi, ti porto la cicca, ti giuro … Faccio un salto al pozzo, pare che vengano ancora …”. Non pare. Vengono. Raffiche furiose di mitra, colpi sgranati di fucile, urla irose in tedesco: “Worwarts! Worwarts!”. Ancora sono respinti. Ma Tom non mi porta la cicca: l’hanno preso alla gola e al petto. Lo trascina dentro Bob che, da sotto, mi chiama; ma appena mi chino a guardarlo, il nostro commissario dà l’ultimo respiro in un gorgoglio di sangue. Uno si butta sull’aia spazzata dalle raffiche a recuperare il suo sten».
Anche Leonardo Visani, diciottenne contadino mezzadro abitante nella casa, ha lasciato una testimonianza su quanto accaduto: «iI mattino del giorno 11, appena giorno, mia madre svegliò all’improvviso noi e i partigiani, gridando che venivano i tedeschi. Si sentiva urlare e sparare fuori della casa. Dopo qualche minuto arrivarono nella cucina Bruno e Bob, che era il comandante di tutti i partigiani. Aveva una coperta sulle spalle e, con la voce affannata per la salita, gridava ai partigiani che si dovevano preparare. Disse che i tedeschi avevano attaccato Ca’ di Gostino, che Attila era morto presso la Chiesa di Purocielo e che i tedeschi ci erano già addosso. Un po’ alla volta arrivarono anche gli altri del comando, bersagliati dalle mitraglie su per la salita, ed anche altri partigiani da una casa vicina, chiamata casa Marcone.
Da quel momento cominciò una sparatoria fortissima. I tedeschi venivano su dal fiume e Bob cercava d’insegnare i punti e le finestre più adatti per colpirli. Non posso dire quanto è durato il combattimento, perché quelli sono momenti brutti e non si può pensare molto. Io ero rimasto in cucina con una quantità di partigiani e coi prigionieri. Guardavo fuori dalla finestre e vedevo che i tedeschi sparavano al sicuro, dietro buoni ripari della terra, senza farsi vedere. A cinque o sei metri dalla finestra, tra il pagliaio e il pozzo, c’era il commissario Tom con degli altri. Lo guardavo con attenzione perché sparava un po’ col mitra e un po’ col fucile e mi sembrava molto sicuro del fatto suo. All’improvviso l’ho visto irrigidirsi, mentre qualcosa si staccava dalla sua schiena: era stoffa insanguinata ed i proiettili l’avevano colpito sotto il collo. L’ha seppellito più tardi mia madre, quasi nello stesso punto in cui era caduto».